–L’unità sindacale nelle feste del I Maggio–
La scissione sindacale della CGDL nel 1948 fu determinata essenzialmente dalla rottura dell’unità nazionale che nel dopoguerra governò il Paese e che si infranse agli esordi della guerra fredda. Il sindacato unico, la CGDL che, con la Costituzione, era stato il frutto più prezioso di quella stagione unitaria, subì la stessa sorte dei grandi partiti di massa: la fine di un confronto dialettico aperto sul piano ideale e l’arroccarsi su posizioni strategiche contrapposte, che enfatizzavano le differenze e mettevano in ombra le convergenze di interessi. Dovranno trascorrere venti anni perché si realizzino le condizioni di una ripresa del dialogo fra tutte le forze sindacali nate dalla scissione. Venti anni durante i quali però i sindacati confederali più volte, pur rimanendo divisi su alcune questioni di fondo, ebbero la capacità di praticare quell’unità d’azione che consentì di portare a buon fine lunghe lotte su temi generali come la casa, la previdenza, il fisco, la salute. Una delle questioni di fondo fu l’idea di uguaglianza che, per la CGIL si realizzava nel controllo, da parte dei/delle lavoratori/trici, del processo produttivo e nel riconoscimento del valore del lavoro da conquistare attraverso il conflitto; la CISL invece prediligeva la collaborazione interclassista e la giusta retribuzione compensativa del disagio lavorativo. Va ricordato inoltre che non poco pesò anche la scomunica dei comunisti pronunciata dalla Chiesa cattolica nel luglio del 1949, che divideva inesorabilmente i lavoratori fra comunisti e credenti. Di Vittorio, che dirigeva la CGDL unitaria e che tentò in tutti i modi di evitare la scissione, nel famoso discorso di Livorno, quando si consumò lo strappo, ancora ripeteva “… Appunto perché l’unità è un bisogno vitale di tutti i lavoratori, è necessario che tutte le correnti sindacali sappiano imporsi dei sacrifici nelle proprie vedute particolari per contemperarle con quelle delle altre correnti, al fine di evitare incrinature e divisioni dei lavoratori e consolidare la loro unità.” Quel bisogno di unità di tutti i lavoratori e le lavoratrici divenne sempre più evidente con la modernizzazione del Paese: l’innovazione tecnologica, così come era venuta avanti col modello fordista, necessitava di un diretto controllo operaio sia sulle tecnologie che sull’organizzazione del lavoro, a partire dalla gestione del cottimo. Una questione di potere dentro la fabbrica taylorista, ma anche la necessità di affrontare uniti il l’inevitabile conflitto. A nostro parere due eventi politici contribuirono non poco al processo di riavvicinamento dei tre sindacati confederali. Il primo fu rappresentato dai fatti di Ungheria del 1956, quando il tentativo di aprire maggiori spazi di libertà democratiche e di migliori condizioni di lavoro fu soffocato nel sangue dall’intervento armato sovietico. Quegli eventi evidenziarono le contraddizioni insite in un paese socialista che non si differenziava in nulla nella organizzazione tecnologica e del lavoro dal mondo occidentale. Ma pose anche un’altra questione fortissima: quella dell’autonomia del sindacato nelle questioni del lavoro, mettendo in discussione il primato del partito nella lotta di classe. Di Vittorio, condannando l’intervento armato, metteva in discussioni l’impianto stesso del rapporto partito/sindacato: il sindacato contratta il salario, il partito si occupa del resto (rapporti con col mondo delle imprese, processi produttivi, investimenti, organizzazione del lavoro, condizione sociale dei/delle lavoratori/trici). Per questo rischiò l’ostracismo dal PCI, ancora fortemente legato all’Unione Sovietica. Ma certamente fu importante per la storia sindacale anche un altro avvenimento: l’avvento di Papa Giovanni XXIII e del Concilio Vaticano II. Se l’ecumenismo di Papa Giovanni fu una spinta grande alla pace globale ed ai diritti di liberazione dei paesi ex coloniali, egli diede anche una bella spallata all’idea interclassista del sindacalismo cattolico ed alla sua traduzione pratica nell’aziendalismo corporativo. Le ACLI e la FIM CISL colsero subito il portato vero di quella visione che spazzava via il solidarismo caritatevole per affermare i diritti inalienabili della persona. E non dimentichiamo che la stagione del Concilio segnò anche l’abolizione della scomunica ai comunisti. I temi, dunque, dell’autonomia dai partiti e dei diritti inalienabili della persona divennero terreno comune di ricerca e furono il ponte che consentì poi una grande stagione di unità sindacale.
Elisabetta Perazzo